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La radio alimentata ad idrogeno!

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Introduzione

Questo articolo nasce dalla voglia di sperimentare ed innovare dello scrivente, dove per innovare intende in questo caso, fare “cose vecchie in modo nuovo”.

Da sempre le nostre radio hanno impiegato come fonte di alimentazione le classiche batterie (nelle diverse evoluzioni tecnologiche) e l’energia di rete, mentre negli ultimi anni, alcuni sperimentatori, hanno alimentato le loro radio con pannelli solari.

Il mondo dell’energia è in continua evoluzione e nuove opportunità si aprono al futuro. Una di queste, sono le celle a combustibile e proprio di come sviluppare un piccolo ricevitore alimentato ad idrogeno tramite fuel-cell parleremo in questo articolo.

Le fuel cells

Una pila a combustibile (dal nome inglese fuel cell) è un dispositivo elettrochimico che genera energia elettrica direttamente da certe sostanze in assenza di alcun processo di combustione termica.

Pur cominciando a salire alla ribalta della cronaca sono in tempi molto recenti, la loro scoperta risale ai primi decenni dell’800, quando Sir William Robert Grove sulla base del lavoro teorico sviluppato da Christian Friedrich Schönbein, realizzò la prima cella a combustibile della storia in cui una miscela di idrogeno ed ossigeno in presenza di un idoneo elettrolita, produceva elettricità e come unico “prodotto di scarto”, acqua.

La piccola potenza generata fece abbandonare lo sviluppo dell’idea per quasi un secolo, quando nel 1932 il Dr. Francis T. Bacon riprese gli studi e ne comincio uno sviluppo sistematico che lo portò a dimostrarne l’efficacia all’inizio degli anni ’50 con una saldatrice alimentata da una pila a combustibile da 5 kW!

Da quel momento l’industria prese a sviluppare la tecnologia in maniera sempre più efficiente ed economica. Nella prima metà degli anni sessanta, la General Electric, produsse un sistema per la produzione di destinato alle navicelle spaziali Gemini ed Apollo della NASA.

Principio di funzionamento

Il principio alla base delle fuel cell è quello della generazione diretta di una forza elettromotrice, a partire dalle sostanze reagenti (ad esempio idrogeno ed ossigeno) per mezzo di una reazione elettrochimica.

Il processo di generazione è “filosoficamente” simile a quanto accade nelle comuni pile elettriche in quanto l’energia chimica viene convertita direttamente in elettrica, ancorché ben diverso da un punto di vista chimico-fisico.

Il tutto è ben distinto dai consueti processi di conversione di energia quali i generatori elettrici azionati da macchine a combustione termica. In questi infatti, l’energia chimica del combustibile viene trasformata prima in calore, poi in energia meccanica ed infine in elettrica. Ad oggi, le macchine termiche generatrici più efficienti, quali le turbine a gas combinate con turbine a vapore e grandi alternatori, raramente sfiorano il 60% il rendimento globale. Come riferimento, pensiamo anche come nei motori alternativi a combustione interna delle più moderne vetture, già il solo rendimento di trasformazione in energia meccanica è spesso al di sotto del 30%.

La conversione elettrochimica

La reazione elettrochimica impiegata nelle fuel cells si basa sull’idea di spezzare le molecole del combustibile o del comburente (di solito ossigeno atmosferico) in ioni positivi ed elettroni che, condotti su un circuito esterno, forniscono una corrente elettrica proporzionale alla velocità della reazione chimica e utilizzabile per qualsiasi scopo.

Pur essendo ipotizzabile l’impiego di un largo numero di sostanze, nella pratica, la scelta dei combustibili è molto limitata, per vari motivi di efficienze del sistema. L’idrogeno è uno dei più comuni e largamente impiegato in quanto in grado di essere ionizzato facilmente e la sua molecola è costituita da due atomi legati da un legame relativamente debole (H-H) rispetto ad esempio di quello tra atomi di idrogeno e carbonio nella molecola del metano (CH4).

Il comburente più diffuso è l’ossigeno atmosferico: non solo reagisce con l’idrogeno dando un prodotto innocuo come l’acqua, ma è anche disponibile in abbondanza e gratuitamente dall’atmosfera. Tuttavia, il doppio legame (O=O) tra gli atomi della sua molecola è più forte che nel caso della molecola di idrogeno e proprio questo dato rappresenta spesso un ostacolo importante nella catalisi delle reazioni elettrochimiche.

L’efficienza in termini termodinamici

L’efficienza delle pile a combustibile indica il rapporto tra l’energia elettrica prodotta e l’energia chimica fornita alla pila stessa. Questo rapporto è normalmente calcolato come il lavoro W ottenuto diviso l’energia libera di Gibbs della reazione:

\eta = \frac{W}{- \Delta G_r^{*}}

dove lo stato * indica lo stato in cui i reagenti sono disponibili (ad esempio idrogeno in pressione nei cilindri, ossigeno atmosferico alla pressione parziale di 20 kPa). I valori tipici di rendimento per una pila ad idrogeno sono compresi tra il 40 e il 60% non lontani quindi dai grandi impianti termoelettrici quindi, ma sicuramente più “portatili”.

Tipi di fuel Cells

Nel corso degli anni sono state messe a punto molte tecnologie di Fuel Cells, ognuna con pregi e difetti e sovente con una precisa finalizzazione d’impiego.

Vediamo nel seguito una brevissima panoramica delle scelte oggi possibili:

Pile a membrana a scambio protonico

Le pile a combustibile più note e che useremo poi per il nostro esperimento, sono quelle a membrana a scambio protonico anche note come “PEM”. In esse, l’idrogeno si separa in protoni ed elettroni sull’anodo: i protoni passano attraverso la membrana per raggiungere il catodo, dove reagiscono con l’ossigeno dell’aria, mentre gli elettroni sono convogliati attraverso un circuito esterno (ad esempio la nostra radio) prima di raggiungere anch’essi il catodo e ricombinarsi, fornendo così potenza elettrica.

Altre tipologie:

  • Le pile ad acido fosforico (PAFC), considerate una tecnologia ormai “matura” e non suscettibile di ulteriori importanti sviluppi.

  • Le pile alcaline (AFC), ormai abbandonate, perché non tollerano la presenza di CO2, presente nell’atmosfera. Hanno un grande valore “storico”, in quanto impiegate nelle missioni Apollo e nello Space Shuttle.

  • Le pile a carbonato fuso (MCFC), funzionano ad alta temperatura (circa 600 °C) e per questo presentano problemi nella gestione di un liquido corrosivo ad alta temperatura.

  • Le pile a metanolo diretto (DMFC), a bassa temperatura, utilizzano un combustibile liquido (metanolo CH3OH) ed aria. La soluzione reagisce all’anodo con l’acqua dando luogo a CO2 e ioni H+ (oltre naturalmente ad elettroni).

  • Le pile a ossido solido (SOFC) lavorano ad altissime temperature (da 800 a 1.000 °C) e sono costituite da materiali ceramici, la cui fragilità ne sconsiglia l’uso in applicazioni mobili. In esse, l’ossigeno passa attraverso un materiale ceramico prima di raggiungere il combustibile. I combustibili nelle pile a ossido solido possono essere diversi: oltre all’idrogeno, anche molti idrocarburi e perfino il monossido di carbonio possono generarvi elettricità. Mostrano quindi importanti campi d’impiego in applicazioni industriali.

Il progetto

Il progetto del nostro radioricevitore alimentato ad idrogeno si compone di quattro moduli:

  • generatore

  • survoltore

  • ricevitore

  • amplificatore audio di potenza

Generatore

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Illustrazione 1: kit Hydrocar della Horizon

La disponibilità di celle a combustibile al largo pubblico è ancora molto limitata e spesso a costi poco appetibili per l’hobbista, specie in momenti di crisi come questo.

Una simpatica soluzione per divertirsi e sperimentare senza dover per questo accendere un muto viene dai prodotti della Horizon Fuel Cells Technology, in particolare dal kit Hydrocar che comprende un modellino di vettura a motore elettrico, una fuel cell, i serbatoi per i gas ed un pannellino solare per la carica.

In particolare, rende disponibile ad un costo accessibile una cella a combustibile reversibile con elettrolita polimerico a membrana (PEM). Alimentando opportunamente la cella, tramite l’elettrolisi dell’acqua pura in essa contenuta, si genera ossigeno ed idrogeno che vengono accumulati in due contenitori trasparenti. Una volta “fatto il pieno”, è possibile invertire il processo, ottenendo energia elettrica con cui alimentare o il modellino o il nostro ricevitore futuristico.

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Illustrazione 2: Serbatoi idrogeno ed ossigeno

Per non danneggiare la piccola cella, occorre seguire alcune indicazioni, ben descritte nel manuale del kit, ma che vale la pena ricordare anche qua:

  • non eccedere nel pilotaggio elettrico della cella, in altre parole, corrente e tensione devono essere limitate e tenute sotto controllo.

  • prevenire contaminazioni della membrana. Questo obiettivo può essere raggiunto impiegando solo acqua demineralizzata di ottima qualità e sigillando la cella quando non impiegata.

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Illustrazione 3: La fuel cell ed i serbatoi di gas

La cella genera una potenza molto ridotta e ad una tensione, a carico, inferiore al volt. Questo rende poco agevole il suo impiego nella nostra applicazione, ma le soluzioni al problema, fortunatamente non mancano né sono particolarmente complesse.

I serbatoi d’idrogeno ed ossigeno hanno una capacità di circa 2cm3 a pressione atmosferica. Come sistema di sicurezza, si sfrutta la pressione dell’acqua sovrastante la zona di accumulo. Nel caso il gas aumentasse la propria pressione ad un valore superiore a quello dato dalla somma della pressione atmosferica più quella equivalente all’altezza della colonna d’acqua sovrastante (1mm10Pa), lo stesso sfogherebbe immediatamente in ambiente sotto forma di bollicine.

Il survoltore

Come anticipato, la cella scelta per motivi di costo, sicurezza e reperibilità, genera un potenza elettrica molto ridotta e ad una tensione inferiore al volt. Con così poca differenza di potenziale è molto difficile alimentare un pur semplice ricevitore. Ecco quindi come il primo passo del progetto, sia l’elevare le poche centinaia di millivolt della cella ad un valore di almeno 1,5-2V.

Il circuito elevatore deve avere quindi le seguenti qualità:

  • tensione minima di funzionamento inferiore a 500mV

  • elevato rendimento

  • basso rumore

R2o_html_b1a949c0Illustrazione 4: Schema elettrico di base del survoltore

Il circuito è “classico” e molto, molto robusto verso le modifiche dei componenti, in particolare del trasformatore.

Ad esempio, io ho sperimentato le seguenti configurazioni:

  • conf A: Wurth electonik cod. 742-794-53 2x75uH + diodo 1N4148

  • conf. B: 15+15sp. su core 2x345uH + diodo 1N4148

  • conf. C: core Epcos, 2×5,6mH + diodo 1N4148

  • conf D: 22+22sp su core 2x670uH + diodo 1N4148

  • conf D+: come sopra ma diodo tipo SB130

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Illustrazione 5: Andamento dei parametri del survoltore al variare della sua frequenza

Qualità del core del trasformatore e frequenza di funzionamento hanno un significativo impatto sull’efficienza del sistema e la soluzione “ottima” è un compromesso fra opposte esigenze. Semplificando un poco, si può riassumere la situazione con l’illustrazione 5.

La sperimentazione ha ad esempio portato ai seguenti risultati:R2o_html_b477bb24
Illustrazione 6: Curve di efficienza del survoltore al variare della tensione di alimentazione e di alcuni componenti

La soluzione A, paga l’elevata frequenza di funzionamento, pari ad oltre 200kHz, valore che disturba con le sue armoniche anche la ricezione.

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Illustrazione 7: Il survoltore “boxato” in contenitore schermante

Meglio la B, a circa 60kHz, ma la scelta ottimale pare una frequenza a carico di circa 20~30kHz. L’impiego di un raddrizzatore veloce e a bassa soglia, (curva D+) regala il tocco finale, con un ulteriore 10~15% di efficienza recuperata.

Tutto il circuito è montato in aria, dentro un piccolo contenitore schermato, per minimizzare l’emissione di disturbi in ambiente da parte del survoltore.

L’RX “base”

Resa ora disponibile una tensione di 1-2V continui, proviamo ad “inventarci” un piccolo e semplice ricevitore idoneo a funzionare a tensioni così ridotte.

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Illustrazione 8: La “Z1”, della Sinclair, il radioricevitore commerciale più piccolo mai costruito

Fortunatamente, “qualcuno ci ha pensato per noi” e da alcuni decenni sono disponibili alcuni circuiti integrati speciali, che racchiudono un semplice ricevitore AM per onde medie, pensati per essere alimentati con un singola cella da 1,5V.

Il primo e più famoso della famiglia fu il Ferranti ZN414, nato agli inizi degli anni ’70 e che soppiantò i classici circuiti “2 transistor reflex” con cui erano realizzate le mini radio dell’epoca. Se non vado errato, questo tipo di dispositivo equipaggiò anche la radio più piccola del mondo mai costruita, sempre oltremanica, da Sir Clive Sinclair, la famosa Z1.

Pur essendo una applicazione di nicchia, vari altri produttori di silicio si sono cimentati nello sviluppo di chip equivalenti realizzando i vari YS414, ZN415, ZN416, MK484, LMF501T, ed oggi, quello forse più reperibile e semplice da impiegare è il TA7642.

Lo schema suggerito e sperimentato è il seguente:

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Illustrazione 9: Schema elettrico del ricevitore in configurazione base

Il gruppo L1 e C2 costituisce il circuito accordato che seleziona la stazione che si desidera ricevere. L1 è avvolta su una bacchetta di ferrite, magari recuperata da un vecchio ricevitore AM dismesso. C2 deve avere un range di capacità tale che, combinato con l’induttanza di L1, copra tutto il campo di frequenze desiderate. L2, è una singola spira avvolta a fianco del lato freddo di L1 e serve a migliorare un poco la selettività. Il trimmer da 10kOhm va regolato per avere circa 1~1,2V sul terminale d’uscita del TA7642 mentre al potenziometro P1 è assegnato il compito di regolare la polarizzazione del front-end. Valori di circa 0,6 sono ottimi per la ricezione di forti stazioni locali, mentre a circa 0,9V si ottiene la massima sensibilità, situazione indicata per il “dx”.

L’ascolto avviene per merito di un comune auricolare piezoelettrico, collegato tramite una rete passa basso sull’uscita dell’integrato.

La potenza assorbita, inverter compreso, è veramente minima e vale circa 1~2 mW con 600mV erogati dalla cella. L’autonomia con un “pieno” di idrogeno è elevata: senza fatica si ascolta la telecronaca di una intera partita di calcio, tempi supplementari compresi!

Il ricevitore “confort”

Soddisfatto ed inizialmente appagato dal risultato raggiunto, ho cominciato a desiderare “qualcosa di più”, di più piacevole e confortevole del mero ascolto monoaurale e di più, dal tipico “accento” piezo…

Ecco allora una semplice modifica al circuito che ne migliora molto la qualità ed il confort acustico.

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Illustrazione 10: Schema elettrico del ricevitore “confort”

All’uscita del circuito integrato, in parallelo all’auricolare, è collegato un semplice amplificatore in classe A, con punto di riposo stabilizzato tramite R2. Le cuffie sono le classiche da 2000ohm di impedenza, che offrono un buon volume d’ascolto e una “voce” molto più naturale. L’inserzione nel circuito delle cuffie tramite il connettore CNT provvede anche all’accensione del relativo amplificatore, evitando così sprechi di energia quando non impiegate.

A seconda della tensione di alimentazione, delle caratteristiche di T1 e del reale valore di resistenza della cuffia, può essere vantaggioso modificare un poco il valore di R2 per ottenere i migliori risultati in termini di distorsione e massima potenza.

La potenza assorbita rimane ancora bassa e per l’ascolto della stazione locale a volume confortevole vale indicativamente 4 mW (7mA @ 600mV nel mio prototipo)

La ricezione in altoparlante

E’ questo il livello “top” del progetto, oggi come lo era già 80-90 anni fa. Per essere raggiunto, stante la minima potenza disponile occorre un approccio “a tutto tondo” del progetto.

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Illustrazione 11: Vecchio grammofono, primo impiego della tromba per la riproduzione sonora “moderna”

Occorre cioè un amplificatore ad elevato rendimento e capace di funzionare a bassa tensione ma anche un altoparlante ad alta efficienza. Coi pochi mW a disposizione non possiamo certo sprecare potenza nel trasduttore finale!

Giova ricordare come il classico altoparlante sia un trasduttore particolarmente inefficiente, con una potenza acustica emessa che solitamente vale la millesima parte di quelle elettrica in ingresso!

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Illustrazione 12: La confezione dell’altoparlante a compressione Monacor

Una delle cause di questo modesto rendimento è l’elevato disadattamento d’impedenza fra sorgente (membrana, cono dell’altoparlante) ed ambiente. Una tecnica per mitigare il problema è nota fin dalla notte dei tempi ed è il “carico a tromba” del trasduttore. Questo dispositivo era già impiegato nell’antichità e prima dell’avvento della moderna elettronica ad esempio nei grammofoni.

Senza complicarci troppo la vita ed aumentare costi e complessità del sistema, una buona scelta può essere l’altoparlante NR-20-KS della Monacor. Probabilmente ancor meglio sarebbe impiegare un dispositivo specifico quale quelli usati nei megafoni e nei sistemi di PA. Resa, costi ed ingombri sono ovviamente maggiori, con una valutazione da fare caso per caso.

Rimane dunque da realizzare l’amplificatore. Dopo molte ricerche ho deciso di impiegare l’integrato National LM4919, l’unico a mia conoscenza capace di operare fino a tensioni inferiori ad 1V.

Il circuito realizzato si ispira a quanto consigliato sul relativo data sheet, con alcuni opportuni ritocchi per migliorarne la stabilità e adeguare la risposta in frequenza ai nostri bisogni.

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Illustrazione 13: Schema elettrico dell’amplificatore audio per ascolto in altoparlante

Il montaggio, a causa di un case “poco simpatico” (MSOP10) per la sperimentazione domestica, fa uso di un adattatore a DIL.

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Illustrazione 14: Basetta del PA audio. Notare l’adattatore per il case MSOP

Impiegato in configurazione bridged, può erogare ben 85mW su 8Ohm con soli 1,5V di alimentazione, valore che abbinato all’efficiente altoparlante scelto, garantisce una soddisfacente esperienza d’ascolto (nell’ambito dei limiti di questo progetto).

L’elevato consumo (rispetto all’ascolto in cuffia) potrebbe mettere in crisi il survoltore. Per recuperare la situazione, si può aggiustare il valore di R1, riducendolo a 220~470Ohm.

Conclusioni

Che dire? Abbiamo inventato l’acqua calda? Mah… Certo è, che unendo idrogeno ed ossigeno era difficile evitarlo! Scherzi a parte, credo che pur nella sua semplicità, questo studio possa offrire validi spunti di studio ed approfondimento su vari campi della fisica e dell’elettronica. Non appena la tecnologia ci offrirà nuovi dispositivi sarà molto divertente sperimentarli e spingergi la dove nessuno è mai giunto prima…

Buona sperimentazione e divertimento quindi!

Bibliografia

it.wikipedia.org/wiki/Pila_a_combustibile

www.horizonfuelcell.com/store/hydrocar.htm

cool386.tripod.com/zn414/zn414.html

theradioboard.com/rb/viewtopic.php?t=2791

www.electronica-pt.com

www.aldinc.com

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www.thundergun.it/history.htm

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Gabriel Alfonso Rincon, “Low voltage technique and considerations for integrated operational amplifier circuits” 31maggio1995, Georgia Institute of Technology

By iw4blg

Pierluigi Poggi since his childhood has been attracted from technical stuffs and gears, being a very curious guy. He built his first Xtal radio when he was just 9. Today, we would call him “maker”. When he turned to 21 became radio amateur, with call sign iw4blg. Since then, he developed many radio gears and felt in love with space communication, becoming an EMErs and a satellite enthusiast. His great passion led him to experiment a lot on the higher bands, up to pioneering several THz (lightwaves) QSOs on the early ’90. Beside to this passion to the radio communication and modern technologies, he like to study, experiment, understand-why, then, write and share, or better, spread the knowledge. This fact led him to became a well renowned contributor of electronics magazines with more than 95 articles published and author of 14 science books.

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